NewsIl delitto di evasione. Quando si configura?

25 Settembre 2024

 

Il delitto di evasione è disciplinato dall’articolo 385 del codice penale. Non si tratta solo di un reato, ma di un fenomeno che solleva interrogativi non solo giuridici, ma anche sociali ed etici. L’evasione non è un semplice atto di ribellione contro l’autorità, ma è un comportamento che incide sull’ordine pubblico e sulla sicurezza collettiva.

L’articolo 385 c.p. prevede che

“Chiunque, essendo legalmente arrestato o detenuto per un reato, evade è punito con la reclusione da uno a tre anni.

La pena è della reclusione da due a cinque anni se il colpevole commette il fatto usando violenza o minaccia verso le persone, ovvero mediante effrazione; ed è da tre a sei anni se la violenza o minaccia è commessa con armi o da più persone riunite.

Le disposizioni precedenti si applicano anche all’imputato che essendo in stato di arresto nella propria abitazione o in altro luogo designato nel provvedimento se ne allontani, nonché al condannato ammesso a lavorare fuori dello stabilimento penale.

Quando l’evaso si costituisce in carcere prima della condanna, la pena è diminuita.”

Questa norma si applica dunque a chiunque si trovi legalmente sotto custodia in regime di restrizione della libertà personale perché arrestato in flagranza di reato, ovvero si trovi detenuto in regime di custodia cautelare o in espiazione pena tanto in un istituto penitenziario quanto agli arresti domiciliari.

La norma, collocandosi tra i reati contro l’amministrazione della giustizia, si pone l’obiettivo di tutelare l’interesse dello Stato, nell’amministrazione della giustizia, al mantenimento ed all’osservanza delle misure restrittive della libertà personale disposte nei confronti dell’indagato, imputato o condannato.

 

LA CONDOTTA PUNIBILE

 

Ma cosa significa realmente “evasione”? In senso stretto, si intende l’allontanamento dal luogo di detenzione, ma la giurisprudenza ha più volte chiarito che anche il mancato rispetto delle prescrizioni relative agli arresti domiciliari può integrare il delitto in oggetto. Ciò allarga notevolmente il campo di applicazione della norma, includendo comportamenti che, pur non essendo riconducibili all’evasione nel senso tradizionale del termine, rappresentano comunque una violazione delle disposizioni imposte dall’autorità.

Nello specifico, come postulato dalla giurisprudenza dominante in materia, evadere significa sottrarsi effettivamente e completamente alle restrizioni della libertà personale, eludendo la sorveglianza degli organi preposti alla vigilanza sulla corretta esecuzione della misura.

Occorre inoltre chiarire che sempre secondo l’orientamento giurisprudenziale più diffuso, ai fini dell’accertamento del reato non rilevano né la temporaneità della sottrazione né la distanza dell’allontanamento.

In realtà parte della dottrina ed invero anche della giurisprudenza ritiene che, in casi particolarmente lievi come l’ipotesi di colui il quale allontanatosi dal luogo di restrizione domiciliare si presenti presso la stazione dei Carabinieri per chiedere di essere ricondotto in carcere, asserendo come giustificazione il deterioramento dei rapporti con i congiunti conviventi, il reato di evasione debba essere escluso, in quanto la condotta risulterebbe inoffensiva ex art. 49, co. 2 c.p..

In tal caso infatti l’agente non si è mai realmente sottratto alla sorveglianza degli organi preposti alla vigilanza, anzi il fatto che abbia egli stesso richiesto l’applicazione di una misura restrittiva più grave è indicativo dell’irrilevanza dell’infrazione commessa. (Cfr. Cass. Pen., Sez. VI, 6 ottobre 2015, n. 44595).

 

L’ELEMENTO SOGGETTIVO

 

Oltre a quanto fin qui affermato, per poter configurare il delitto di evasione, è necessario che siano presenti alcuni elementi fondamentali. Come abbiamo visto, in primo luogo, il soggetto attivo deve trovarsi in stato di detenzione o agli arresti domiciliari. In secondo luogo, è necessaria una condotta di allontanamento dal luogo di custodia. Questo allontanamento deve essere volontario e intenzionale, caratterizzato dal dolo, ovvero dalla volontà di eludere le misure restrittive imposte.

È proprio sull’elemento soggettivo che occorre a questo punto soffermarsi.  Il dolo nel delitto di evasione gioca un ruolo cruciale. Non basta un semplice allontanamento affinché il reato possa dirsi integrato; è fondamentale dimostrare che il soggetto ha agito con l’intenzione di violare le disposizioni di custodia. Se manca il dolo, la responsabilità penale potrebbe essere esclusa, aprendo la strada a strategie di difesa basate su errori o malintesi riguardanti le prescrizioni.

Preme però sottolineare che il dolo richiesto dalla norma è generico e non specifico. Pertanto, secondo il costante insegnamento della Suprema Corte, l’elemento soggettivo è integrato ogniqualvolta si accerti la consapevolezza e la volontà di sottrarsi anche temporaneamente alle restrizioni imposte e di eludere la sorveglianza, a nulla rilevando i motivi che hanno spinto l’agente a porre in essere la condotta.

Detti motivi tuttalpiù potranno essere considerati ai fini della commisurazione della pena ex art. 133 c.p. nonché per il riconoscimento delle circostanze attenuanti, ovvero per far valere la causa di esclusione della punibilità della particolare tenuità del fatto ex art. 131 bis c.p..

 

LE SANZIONI

 

Le conseguenze penali per chi commette il delitto di evasione possono essere severe. La pena prevista è la reclusione da uno a tre anni.

Inoltre, è importante considerare le circostanze aggravanti e attenuanti. Ad esempio, l’uso di violenza o minaccia nei confronti delle forze dell’ordine o delle persone in generale, o ancora l’evasione attraverso effrazione può costituire un’aggravante. Si pensi a tal proposito all’ipotesi prevista dall’art. 385 co. 2 c.p. che punisce tali condotte di evasione con la pena della reclusione che va da 2 a 5 anni e ancora da 3 a 6 anni di reclusione se il fatto è commesso da più persone riunite o con armi. Questa personalizzazione della pena è fondamentale per garantire un approccio giusto e proporzionato alle diverse situazioni.

 

COSA SUCCEDE QUANDO SI VIENE ARRESTATI PER EVASIONE

 

Il delitto di evasione è uno di quei reati per cui la Polizia Giudiziaria può operare l’arresto in flagranza o anche al di fuori dei casi di flagranza ai sensi dell’art. 3 D.L. n.152/1991 convertito con L. n. 203/1991.

Pertanto a seguito dell’arresto il soggetto agente viene deferito all’autorità giudiziaria e nell’arco di 48 ore presentato dinanzi al giudice del dibattimento per la convalida dell’arresto e il successivo giudizio direttissimo.

Il primo passo successivo all’arresto, dunque, è la presentazione dell’arrestato in udienza da parte degli operanti di Polizia Giudiziaria che hanno proceduto alla cattura del soggetto agente.

Durante l’udienza di convalida, il cui svolgimento è disciplinato dall’art. 391 c.p.p., il giudice sente la relazione dell’operante di PG in merito a come è avvenuto l’arresto, dopodiché viene lasciato spazio alle domande eventualmente poste dal Pubblico Ministero e dall’Avvocato Difensore.

All’esito dell’esame dell’operante, che non segue le regole dell’esame testimoniale (non vi è lettura della formula di impegno, possono essere poste domande suggestive ecc…), il Giudice procede all’interrogatorio dell’arrestato. Quest’ultimo ha l’obbligo di rispondere secondo verità ad alcune domande preliminari riguardanti i suoi dati anagrafici e le condizioni sociali ed economiche, successivamente può decidere se rispondere in merito ai fatti oggetto di contestazione oppure rimanere in silenzio. Nel caso decida di rispondere potrà ricevere domande dal Giudice, dal Pubblico Ministero ed infine dal Difensore.

In tale fase l’Avvocato difensore ha la possibilità di produrre documentazione utile ai fini della decisione in merito alla convalida dell’arresto e all’eventuale applicazione di misura cautelare richiesta dal P.M..

Esaurita dunque la fase dell’audizione degli operanti e dell’arrestato, il Giudice invita le parti ad esporre le proprie richieste.

Il Pubblico Ministero chiederà verosimilmente la convalida dell’arresto e se del caso l’applicazione di una misura cautelare (evento raro se trattasi di reato di evasione essendo l’arrestato già soggetto a restrizione della libertà personale, considerato per altro che, nel caso della fattispecie non aggravata, non può essere applicata la misura della custodia cautelare in carcere stante il limite previsto dall’art. 275, co. 2 bis c.p.p. – Cfr. Cass. Pen., sez. VI, 13 giugno 2019, n. 26266).

Seguono quindi le richieste della difesa.

All’esito dell’udienza di convalida si apre il giudizio direttissimo. In tal caso il difensore, di comune accordo con l’assistito, può chiedere un rinvio per organizzare la difesa oppure può avanzare immediatamente richiesta di riti alternativi o procedere nelle forme ordinarie del rito direttissimo. Ad ogni modo la migliore strategia difensiva viene valutata di concerto con l’assistito a seconda dei singoli casi specifici.

Se il difensore chiede un rinvio per organizzare la difesa e il giudice non applica nessuna misura cautelare, l’arrestato per evasione viene ricondotto presso il luogo dove si trovava ristretto al momento dell’evasione. Se il predetto versava in regime di arresti domiciliari o di detenzione domiciliare, nell’immediatezza verrà ricondotto presso la propria abitazione ma contestualmente la comunicazione dell’arresto per evasione verrà inviata al giudice che ha disposto la misura o al Tribunale di Sorveglianza ai fini della valutazione dell’aggravamento del regime di restrizione della libertà personale.

L’aggravamento della misura imposta avviene tramite la traduzione in carcere del soggetto agente.

Tale aggravamento però non è automatico, in quanto può essere evitato laddove si dimostri in apposita udienza che il fatto è di lieve entità (art. 276, co. 1 ter, c.p.p. e art. 47 ter, co. 9, L. n. 354/1975).

 

IL RUOLO DELL’AVVOCATO DIFENSORE

 

Quando si affronta un’accusa di evasione, le strategie di difesa possono variare. Una delle più comuni è quella della buona fede. Il legale può sostenere che l’allontanamento sia avvenuto in circostanze giustificabili, ad esempio per motivi di salute o emergenze familiari. Questo approccio mira a dimostrare che l’individuo non aveva intenzione di eludere la custodia.

Un’altra strategia può basarsi su errori o malintesi riguardanti le prescrizioni di custodia. Se il soggetto evaso può dimostrare di non aver compreso correttamente le regole, potrebbe contestare la sussistenza del dolo, escludendo quindi la responsabilità penale.

 

COSA PUO’ FARE L’AVVOCATO PER IMPEDIRE L’ARRESTO

 

Oltre al ruolo rimediale successivo al verificarsi dei fatti, il difensore può svolgere un importante ruolo preventivo, finalizzato ad evitare l’arresto al proprio assistito o comunque precostituire una valida prova per sostenere una richiesta assolutoria nell’eventuale giudizio venturo.

Vi sono infatti casi in cui il soggetto privato della libertà personale in forza delle misure restrittive sopracitate, ha la possibilità di allontanarsi dai luoghi di detenzione in ragione di un’autorizzazione dell’autorità giudiziaria, con la prescrizione di rientrare in determinati orari o seguendo determinati percorsi. In tali occasioni può accadere, per ragioni non imputabili al soggetto agente, che lo stesso si trovi costretto a deviare dal percorso stabilito o a sforare gli orari di rientro. Per non incorrere nell’arresto per evasione è pertanto fondamentale che il predetto si adoperi per comunicare all’autorità preposta ai controlli tale contrattempo. In questa fase il soggetto agente può anche chiedere al proprio avvocato di comunicare la suddetta evenienza a mezzo PEC o telefonicamente. In questo modo non si verificherà nessuna sottrazione al potere di vigilanza degli organi preposti ai controlli e allo stesso tempo si dimostrerà la totale assenza del dolo di evasione.

Avvocato Andrea Busà - P.iva 14222851009