NewsDetenzione e coltivazione di sostanze stupefacenti per uso personale. Il caso del consumo di gruppo e della droga parlata

9 Luglio 2024

Indice

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    LA DETENZIONE DI SOSTANZE STUPEFACENTI PER USO PERSONALE

    Nell’ordinamento italiano la detenzione di sostanze stupefacenti per uso personale configura una condotta illecita ma priva di rilevanza penale.

    In caso di uso personale, infatti, non si applica l’art. 73, che prevede la pena della reclusione da 6 a 20 anni e la multa da € 26.000,00 a € 260.000,00, bensì l’art. 75 D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 (T.U. Stupefacenti), rubricato per l’appunto “condotte integranti illeciti amministrativi”, che prevede la sola irrogazione delle seguenti sanzioni amministrative per un periodo che va da 2 mesi ad 1 anno (in caso di droghe pesanti) o da 1 a 3 mesi ( in caso di droghe leggere):

        1. sospensione della patente di guida, del certificato di abilitazione professionale per la guida di motoveicoli e del certificato di idoneità alla guida di ciclomotori o divieto di conseguirli per un periodo fino a tre anni;
        2. sospensione della licenza di porto d’armi o divieto di conseguirla;
        3. sospensione del passaporto e di ogni altro documento equipollente o divieto di conseguirli;
        4. sospensione del permesso di soggiorno per motivi di turismo o divieto di conseguirlo se cittadino extracomunitario.

    In aggiunta il trasgressore, laddove sussistano i presupposti, è invitato a seguire un programma terapeutico e socio-riabilitativo o altro programma educativo ed informativo personalizzato in relazione alle proprie esigenze specifiche, presso il Ser.D. territorialmente competente.

    Ciò detto occorre comprendere cosa si intende per uso personale e quali sono i criteri elaborati dal legislatore e dalla giurisprudenza per individuare il discrimen tra condotte aventi rilevanza penale, quindi finalizzate allo spaccio, e condotte sanzionate in via amministrativa.

    Il legislatore all’art. 75, co. 1 bis, l. a), D.P.R. 309/1990 ha individuato alcuni criteri che l’interprete deve considerare in relazione a ciascun fatto concreto, per distinguere le condotte finalizzate allo spaccio e quelle finalizzate all’uso personale.

    Nel dettaglio ha individuato dei limiti quantitativi massimi, superati i quali si presume che la detenzione della sostanza non sia finalizzata ad un uso esclusivamente personale.

    Così ai sensi del decreto del Ministero della Salute pubblicato sulla Gazzetta ufficiale n. 95 il 24 aprile 2006, son stabiliti come limiti massimi:

        • 250 milligrammi di principio attivo per l’eroina, corrispondenti a circa 1,7 grammi di sostanza lorda e a 10 dosi
        • 750 milligrammi di principio attivo per la cocaina, circa 1,6 grammi lordi e 5 dosi;
        • 500 milligrammi di principio attivo per la cannabis, marijuana, hashishche corrispondono a 5 grammi lordi e a 15-20 “spinelli”;
        • 750 milligrammi (5 compresse) di principio attivo per MDMA(l’ecstasy);
        • 500 milligrammi (5 compresse) di principio attivo per l’anfetamina;
        • 0,150 milligrammi di principio attivo, cioè 3 “francobolli” per Lsd.

    Il fatto che la quantità di sostanza detenuta non superi i suddetti limiti non è per ciò solo sufficiente ad escludere la finalità di spaccio. Occorre infatti considerare altri criteri stabiliti dal legislatore, come le modalità di presentazione della sostanza stupefacente, avuto riguardo al peso lordo complessivo o al confezionamento frazionato, ovvero altre circostanze dell’azione, in virtù delle quali le sostanze stupefacenti detenute appaiono destinate ad un uso esclusivamente personale.

    Tali altre modalità dell’azione cui si riferisce il legislatore sono state individuate dalla giurisprudenza prevalente in 11 indici rivelatori. Da ultimo, questi sono stati ribaditi da Cass. Pen., Sez. 3, sent. n. 24651/2023, secondo cui gli stessi:

        1. possono essere individuati nell’eventuale stato di tossicodipendenza dell’imputato e nel suo grado;
        2. nel contesto ambientale in cui l’imputato vive;
        3. negli eventuali rapporti dell’imputato con soggetti implicati nel traffico;
        4. nella capacità patrimoniale dell’imputato in rapporto allo stupefacente detenuto ed ai prezzi del mercato;
        5. nella qualità e quantità dello stupefacente detenuto in rapporto alle esigenze personali dell’imputato,
        6. nonché in rapporto al processo di naturale scadimento degli effetti droganti e alle difficoltà di conservazione per un tempo particolarmente lungo;
        7. nella varietà di sostanze stupefacenti detenute;
        8. nelle modalità di custodia e frazionamento della sostanza;
        9. nel ritrovamento di sostanze e mezzi idonei al taglio;
        10. nel luogo e nelle modalità in cui è avvenuto l’accertamento del fatto;
        11. nel possesso dello strumentario tipico dello spacciatore.

     

    Ad ogni modo afferma la Corte nella suddetta sentenza che “la prova della finalità di spaccio può essere ricavata, come per qualsiasi altro elemento di prova, da qualsiasi dato, anche indiziario, che, munito dei requisiti della univocità e della certezza, consenta di inferirne la sussistenza attraverso un rigoroso procedimento logico fondato su corrette massime di esperienza (Sez. 4, n. 4614 del 13/05/1997, Montino, Rv. 207885).

     

    IL RUOLO DEL NARCOTEST E DELLA CONSULENZA TOSSICOLOGICA NELL’ACCERTAMENO DEL TIPO E DELLA QUALITA’ DELLE SOSTANZE

    Un ruolo fondamentale nell’accertamento del tipo di sostanza stupefacente trattata e della sua qualità è svolto senz’altro da strumenti quali il narcotest e la consulenza tossicologica. Il Pubblico Ministero e la polizia giudiziaria, ai sensi degli artt. 359 e 348 c.p.p. quando per proseguire nell’attività investigativa necessitano di specifiche competenze tecniche possono avvalersi di consulenti.

    Da una parte il narcotest si presenta come un esame semplice volto all’individuazione preliminare del tipo di sostanza stupefacente,  e può pertanto essere effettuato dalla stessa polizia giudiziaria, in quanto non sono necessarie particolari competenze tecniche.

    Dall’altra, invece, la consulenza tossicologica consiste in un esame di tipo chimico più approfondito, finalizzato all’accertamento della quantità di principio attivo contenuta nella sostanza stupefacente e viene infatti svolto da  istituti di medicina legale, laboratori universitari di tossicologia forense, strutture specializzate delle forze di polizia o strutture pubbliche di base.

    L’omissione di tali accertamenti da parte dell’accusa si può tradurre in un alto rischio di mancata prova degli elementi a carico dell’imputato, per cui potrebbe imporsi una sentenza assolutoria o una derubricazione nella forma lieve prevista dall’art. 73, co. 5 D.P.R. 309/1990.

     

    LA COLTIVAZIONE

    Come osservato in precedenza, la coltivazione di sostanze stupefacenti o psicotrope è una delle condotte punite dal co. 1 dell’art. 73 D.P.R. 309/1990.

    La giurisprudenza di legittimità, seguendo l’indirizzo tracciato dallo stesso legislatore, ha costantemente escluso la possibilità che la condotta di coltivazione, anche se per uso personale, potesse essere priva di rilevanza penale.

    Sul punto si sono pronunciate tanto la Corte Costituzionale con la sent. n. 360/1995, quanto le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con le sentenze nn. 28605 e 28606 del 24 aprile 2008, sostenendo che l’attività di coltivazione è caratterizzata da un dato distintivo essenziale rispetto alla semplice detenzione, e cioè che contribuisce fisiologicamente ad accrescere (senza limiti) la quantità di sostanza stupefacente esistente e potenzialmente circolante. È proprio in virtù di tale aspetto che si giustifica un trattamento sanzionatorio più grave.

    Ciò premesso occorre però segnalare che una più recente sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione, la n. 12348/2019, ha manifestato un’apertura all’esclusione della rilevanza penale della coltivazione in caso sia finalizzata all’uso personale, sostenendo la mancanza di tipicità della condotta per assenza di offensività.

    La Corte ha così affermato che “ devono ritenersi escluse, in quanto non riconducibili all’ambito di applicazione della norma penale, le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica, che, per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile, la mancanza di ulteriori indici di un loro inserimento nell’ambito del mercato degli stupefacenti, appaiono destinate in via esclusiva all’uso personale del coltivatore.

     

    IL CONSUMO DI GRUPPO

    Per consumo di gruppo si intende quell’ipotesi in cui un soggetto, incaricato da terzi, acquisti e successivamente ceda ai mandanti della sostanza stupefacente per poi farne uso insieme ad essi.

    Secondo la giurisprudenza di legittimità tale condotta, sia nella forma del mandato all’acquisto collettivo che dell’acquisto in comune, a determinate condizioni, non ha rilevanza penale e viene considerata finalizzata all’esclusivo uso personale.

    Le suddette condizioni individuate, tra le altre, da Cass. Pen., Sez. IV, sent. n. 24102/2018, sono le seguenti:

        • L’acquirente deve essere uno degli assuntori;
        • L’acquisto deve avvenire sin dall’inizio per conto degli altri componenti del gruppo;
        • Sin dall’inizio l’identità dei mandanti deve essere certa;
        • Sin dall’inizio deve essere manifesta la volontà dei mandanti di procurarsi la sostanza per mezzo di uno dei compartecipi, contribuendo anche finanziariamente all’acquisto.

     

    LE AGGRAVANTI EX ART. 80 D.P.R. 309/1990

    Con l’art. 80 D.P.R. 309/1990 il legislatore ha previsto una serie di aggravanti speciali ad effetto speciale ( prevedono un aumento di pena superiore ad 1/3) del delitto di cui all’art. 73 D.P.R. 309/1990. In particolare al primo comma ha stabilito che le pene previste per i delitti di cui all’articolo 73 sono aumentate da un terzo alla metà:

        1.  nei casi in cui le sostanze stupefacenti e psicotrope sono consegnate o comunque destinate a persona di età minore;
        2. nei casi previsti dai numeri 2), 3) e 4) del primo comma dell’articolo 112 del codice penale;
        3. per chi ha indotto a commettere il reato, o a cooperare nella commissione del reato, persona dedita all’uso di sostanze stupefacenti o psicotrope;
        4. se il fatto è stato commesso da persona armata o travisata;
        5. se le sostanze stupefacenti o psicotrope sono adulterate o commiste ad altre in modo che ne risulti accentuata la potenzialità lesiva;
        6. se l’offerta o la cessione è finalizzata ad ottenere prestazioni sessuali da parte di persona tossicodipendente;
        7. se l’offerta o la cessione è effettuata all’interno o in prossimità di scuole di ogni ordine o grado, comunità giovanili, caserme, carceri, ospedali, strutture per la cura e la riabilitazione dei tossicodipendenti.

    Inoltre al co. 2 il legislatore ha previsto un’aggravante ancor più severa, in virtù della quale “se il fatto riguarda quantità ingenti di sostanze stupefacenti o psicotrope, le pene sono aumentate dalla metà a due terzi; la pena è di trenta anni di reclusione quando i fatti previsti dai commi 1, 2 e 3 dell’articolo 73 riguardano quantità ingenti di sostanze stupefacenti o psicotrope e ricorre l’aggravante di cui alla lettera e) del comma 1.”

    Il co. 3 prevede che “lo stesso aumento di pena si applica se il colpevole per commettere il delitto o per conseguirne per sè o per altri il profitto, il prezzo o l’impunità ha fatto uso di armi.”

    Infine il co. 4 attraverso un rinvio all’art. 112 c.p. stabilisce che “ la pena è aumentata fino alla metà per chi si è avvalso di persona non imputabile o non punibile, a cagione di una condizione o qualità personale, o con la stessa ha partecipato nella commissione di un delitto per il quale è previsto l’arresto in flagranza.”

    Occorre segnalare che laddove sussista l’ipotesi aggravata di cui all’art. 80, co. 2, D.P.R. 309/1990, ai sensi del combinato disposto degli artt.  656, co. 9, c.p.p. e 4 bis della l. 26 luglio 1975 n. 354 (Ordinamento penitenziario) l’esecuzione della pena eventualmente comminata all’esito definitivo del processo non può essere sospesa, neppure nel caso in cui la pena rientri nei limiti di cui al co. 5 art. 656 c.p.p. ( 3, 4 o 6 anni di pena detentiva, a seconda dei casi).

     

    IL CASO DELLA DROGA PARLATA

    L’espressione droga parlata indica quei casi in cui taluno viene accusato di aver commesso uno dei delitti previsti dal T.U. Stupefacenti in assenza di sequestri e perizie sulla sostanza stupefacente e sulla sola base delle comunicazioni telefoniche o tra presenti intercettate.

    Come abbiamo avuto modo di vedere supra, infatti, non vi è alcun obbligo per il giudice o per il pubblico ministero di procedere ad una perizia o consulenza tossicologica sulla sostanza stupefacente, ben potendosi ricavare la quantità e la qualità della sostanza  astrattamente anche da altri elementi di prova.

    Così la prova dello spaccio o delle altre condotte punite dal T.U. Stupefacenti, fondata sulla mera intercettazioni di conversazioni assumerà senz’altro natura di prova indiziaria. A tal proposito occorre rammentare che, ai sensi dell’art. 192 c.p.p., gli gli indizi da cui si ricava un fatto (lo spaccio) devono essere gravi, precisi e concordanti.

    Le comunicazioni intercettate, per avere una valida consistenza probatoria, dovranno pertanto essere confermate da altri elementi indiziari raccolti in sede di indagine.

    Sul punto, ad esempio, Cass. Pen., sez. III, sentenza n. 14539/2022, nell’individuare alcuni criteri per decrittare le conversazioni tra soggetti accusati di traffico di sostanze stupefacenti, ha desunto l’illiceità delle condotte:

        1. a) dal richiamo all’unica attività (pacificamente) svolta dall’imputato;
        2. b) dal contenuto criptico delle conversazioni, con brevi cenni subito compresi dagli interlocutori, a segnare meccanismi già conosciuti;
        3. c) dal riferimento alle modalità di pagamento ed ai possibili trattamenti punitivi, in caso di insolvenza, espressione ulteriore di un contesto contra legem.

     

    IL RUOLO DELL’AVVOCATO DIFENSORE

    Quando si viene accusati di aver commesso un reato o si viene arrestati in flagranza, si viene investiti da una rapida concatenazione di eventi che sembra di subire passivamente. In questi frangenti, normalmente, risulta molto difficile mantenere la lucidità e non sentirsi smarriti.

    Ciò avviene con particolare frequenza nei casi di traffico di sostanze stupefacenti. Il più delle volte infatti, questi procedimenti originano da semplici controlli delle forze dell’ordine che sfociano in arresti in flagranza e proseguono con il giudizio per direttissima.

    I tempi di reazione sono particolarmente ristretti e i momenti concitati, per questo è fondamentale affidarsi a professionisti seri e preparati che possano consigliare fin dai primi minuti la giusta linea da tenere onde evitare di incappare in errori che possono pregiudicare la futura strategia difensiva.

    In particolare, fin dall’avvio del procedimento o comunque anche nelle fasi successive, è determinante ciò che l’imputato dichiarerà in ordine ai fatti che gli vengono contestati, salvo il caso in cui volesse avvalersi del diritto di rimanere in silenzio.

    Infatti, le dichiarazioni rese dall’imputato in relazione all’uso personale dello stupefacente e alla sua capacità reddituale per poter acquistare le sostanze, se ben inserite nel processo, possono rivelarsi un’utile base da cui partire per strutturare la difesa.

    Altro strumento difensivo di primaria rilevanza che può giocare un ruolo essenziale ai fini del buon esito del procedimento è la consulenza tecnica di parte. Nel caso che occupa, ci si riferisce all’esame tricologico (test del capello), unico esame in grado di determinare la quantità di sostanza stupefacente che il soggetto agente, in caso di tossicodipendenza, ha assunto negli ultimi 6 mesi.

    Lo Studio Legale Busà De Fabiani, nel fornire assistenza legale ai propri clienti, si avvale altresì della collaborazione di professionisti di comprovata esperienza e preparazione, i quali potranno rilevare attraverso esami specifici se il soggetto agente ha nel capello un livello di sostanza drogante tale da determinarne l’intossicazione.

Avvocato Andrea Busà - P.iva 14222851009