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PANORAMICA GENERALE DEL REATO
Il delitto di maltrattamenti contro familiari e conviventi previsto dall’art. 572 c.p. punisce con la reclusione da 3 a 7 anni colui che “maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte”.
Inoltre, nel caso in cui i maltrattamenti siano commessi con armi o siano indirizzati ad una persona con disabilità, ad una donna in stato di gravidanza o vi assista un minore, il secondo comma prevede l’aumento della pena fino alla metà.
Il terzo comma dell’art. 572 c.p. prevede una pena ancora più severa laddove, in conseguenza dei maltrattamenti, si dovessero verificare alcuni eventi. In particolare se dal fatto deriva:
-una lesione personale grave (es. prognosi superiore a 40 gg) si applica la reclusione da 4 a 9 anni;
-una lesione personale gravissima (es. malattia insanabile) si applica la reclusione da 7 a 15 anni;
– la morte si applica la reclusione da 12 a 24 anni.
IL BENE GIURIDICO TUTELATO
Ciò premesso, occorre fin da subito chiarire che la norma suddetta non si limita a tutelare l’unità ed e il buon funzionamento della famiglia quale ordinamento fondamentale della società, bensì anche quel sentimento di fiducia e di reciproco affidamento che viene in essere tra persone fra le quali intercorre un rapporto qualificato, con conseguente ed ulteriore tutela dell’integrità psicofisica, del patrimonio morale, del decoro nonché della libertà del soggetto passivo del reato. Si pensi ad esempio a tutti quei soggetti che per le ragioni indicate dal I comma trascorrono insieme una parte consistente del loro tempo (colleghi sul luogo di lavoro, operatori sanitari e pazienti nelle strutture mediche, insegnati e allievi negli istituti di istruzione etc.)
LE CONDOTTE PENALMENTE RILEVANTI
La fattispecie di maltrattamenti si presenta, inoltre, come un tipico esempio di reato abituale, per la cui integrazione non è sufficiente il mero compimento di fatti episodici, i quali, ancorché illeciti, assumeranno autonoma rilevanza penale, ma necessita della verificazione di una pluralità di condotte vessatorie e prevaricatrici ripetute nel tempo, tali da costringere la vittima a vivere in una prolungata condizione di umiliazione e avvilimento (es. più episodi di percosse, lesioni, ingiurie, minacce, atti di disprezzo etc.).
Condizione questa, che, come affermato più volte dalla giurisprudenza di legittimità, è indice della concreta offensività delle condotte contestate. I giudici della Suprema Corte hanno però chiarito che non bisogna cadere nell’errore di valutare l’offensività delle condotte in relazione alla capacità di resistenza della persona offesa non essendo elemento costitutivo della fattispecie incriminatrice la riduzione della vittima a succube dell’agente (Cfr. Cass. Pen., Sez. VI, 17 ottobre 2022, n. 809).
Ciò posto, preme specificare che il ripetersi delle condotte vessatorie può essere intervallato nel tempo, ad esempio alternandosi a periodi di quiete e normalità, essendo l’estensione dell’arco temporale entro cui si manifestano le condotte maltrattanti un dato essenzialmente neutro ai fini della configurabilità del reato (Cfr. Cass. Pen., Sez. VI, 10 maggio 2022, n. 21087), ed anzi ogni nuova condotta maltrattante sposta in avanti nel tempo il momento di consumazione dello stesso.
Tuttalpiù, laddove l’interruzione temporale fosse particolarmente ampia, ciò potrebbe valere a qualificare le distinte serie di condotte illecite quali reati autonomi, uniti dal vincolo della continuazione (Cfr. Cass. Pen., Sez. II, 3 febbraio 2023, n. 11290).
LA RECIPROCITA’ DELLE CONDOTTE
Per reciprocità delle condotte si intendono quei casi in cui le condotte vessatorie non sono unilaterali, ossia vengono poste in essere sia da una parte che dall’altra. Pensiamo ad esempio a marito e moglie che nell’ambito di un rapporto coniugale certamente travagliato, si insultano o percuotono reciprocamente e periodicamente.
Ci si chiede quindi se in simili occasioni possa effettivamente dirsi integrato il reato di maltrattamenti, posto che sarebbe difficoltoso individuare una vera e propria persona offesa che vive in uno stato di umiliazione e soccombenza determinato dalle prevaricazioni altrui.
Sul punto, dall’analisi della giurisprudenza di legittimità, pare non vi sia concordia. Si sono infatti affermati due orientamenti contrapposti.
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- Coloro che seguono il primo orientamento affermano che non può dirsi integrato il delitto di maltrattamenti in famiglia, poiché la suddetta reciprocità risulta logicamente incompatibile con lo stato di soccombenza e di umiliazione della vittima, la quale ponendo essa stessa delle condotte attivamente vessatorie di gravità ed intensità equivalente non può neppure essere definita tale (Cfr. Cass. Pen., sez. VI, 31 gennaio 2019, n. 4935).
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- Secondo un diverso orientamento (Cfr. Cass. Pen., Sez. VI, 15 maggio 2023, n. 20630), però, si ritiene che il reato di maltrattamenti in famiglia sussista anche nel caso di reciproche condotte vessatorie, ancorché di grado ed intensità equivalenti, in quanto da una lettura sistematica dell’ 572 c.p., non risulta che il legislatore abbia voluto dare rilevanza a forme di sostanziale autotutela, mediante un regime di compensazione fra reciproche condotte penalmente rilevanti, come invece ha previsto in altri casi (si pensi ad esempio all’art. 393-bis c.p. in tema di reazione legittima del privato agli atti arbitrari commessi dal Pubblico Ufficiale, ovvero all’art. 599 c.p. in tema di reciprocità dell’ingiuria prima che venisse depenalizzata).
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In ordine a detto contrasto ermeneutico, gli Ermellini, in una recente pronuncia, hanno però definito tale contrapposizione soltanto apparente.
Infatti la vera cifra per comprendere se le condotte abbiano effettivamente natura vessatoria e possano dunque rientrare nella definizione di maltrattamenti, da tenere distinti dai semplici litigi familiari, si rinviene proprio nella capacità di tali condotte di determinare in chi le subisce un regime di vita insostenibilmente mortificante, definito quale elemento costitutivo implicito della fattispecie ( Cfr. Cass. Pen., Sez. VI, 17 gennaio 2024, n. 2111).
PROCEDIBILITA’
Per il reato di maltrattamenti in famiglia ex art. 572 c.p. è prevista la procedibilità d’ufficio. Ciò significa che non è necessario che vi sia una richiesta di punizione proveniente dalla persona offesa affinché lo stesso venga punito.
Di conseguenza, anche laddove la persona offesa che avesse dato avvio al procedimento penale attraverso la presentazione di una denuncia-querela volesse poi ritirarla, ciò non determinerebbe la chiusura del procedimento penale che seguirebbe comunque il suo corso.
SOSPENSIONE CONDIZIONALE DELLA PENA
In caso di condanna per maltrattamenti contro familiari e conviventi non superiore a 2 anni di reclusione, ottenibile nell’ipotesi del tentativo o scendendo oltre il minimo edittale di anni 3 di reclusione attraverso riduzioni di pena per la scelta di riti alternativi o per il riconoscimento di circostanze attenuanti, ai sensi degli artt. 163 e 165, co. 4, c.p., il giudice può ordinare che la pena comminata venga sospesa, ossia non venga eseguita a condizione che il colpevole partecipi almeno una volta ogni due settimane, nonché superi con esito favorevole specifici percorsi di recupero presso enti o associazioni che si occupano di prevenzione, assistenza psicologica e recupero di soggetti condannati per i reati, tra gli altri, di maltrattamenti in famiglia, violenza sessuale e atti persecutori.